Embolizzazione Fibroma Uterino

Autore: dott. Cesare M;assa Saluzzo

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TRATTAMENTO DEI FIBROMI UTERINI MEDIANTE INTERVENTO ENDOVASCOLARE DI EMBOLIZZAZIONE

L’intervento mini-invasivo eseguito per via endovascolare e chiamato embolizzazione è la consolidata alternativa alla chirurgia dei fibromi uterini o alla rimozione di un utero con fibromi ( isterectomia ). Embolizzazione vuole dire chiusura. L’atto terapeutico prevede l’occlusione dell’arteria che alimenta il / i fibromi dal suo interno per ottenere la contrazione del volume del fibroma fino alla sua “scomparsa” e la formazione di una specie di cicatrice.

L’intuizione della possibilità di applicare la tecnica dell’embolizzazione endovascolare ai fibromi risale ai primi anni novanta e si deve a un gruppo di francesi del quale fece parte anche il dott. Jacques Clerissì oltre al prof. Jaques-Henry Ravinà, ginecologo e al prof. Jean Jacques Merland, radiologo interventista.

In Italia viene praticata dal 1997 circa, in seguito alla pubblicazione delle prime casistiche operatorie che mostravano risultati più che soddisfacenti degli interventi eseguiti con tecnica endovascolare e mini invasiva.

Successivamente la tecnica dell’embolizzazione, non solo dei fibromi uterini, è diventata sempre più affidabile grazie alla dedizione degli specialisti, per lo più Radiologi Interventisti, e all’affinarsi dei materiali e degli strumenti operatori; sempre più donne hanno conosciuto questa opzione terapeutica e ne hanno fatto richiesta direttamente.

Oggi tale metodica è di pratica abbastanza comune, ma sempre in centri accuratamente selezionati. In tutto il mondo si calcola che siano stati fatti più di 150.000 interventi per lo più in Giappone e negli Stati Uniti. I primi interventi furono riservati a donne di età compresa tra i 38 e i 48 anni non più desiderose di andare incontro ad una gravidanza; successivamente fu estesa anche a donne giovani desiderose invece di  conservare la propria fertilità e il proprio utero funzionante. L’intervento chirurgico pone tra le conseguenze una discretamente alta possibilità che si perda la capacità procreativa o che si giunga all’isterectomia, mentre in letteratura medica non sono pochi i casi di donne con una gravidanza portata a termine dopo trattamento di embolizzazione di fibroma uterino.

 

CHE COS’E’ IL FIBROMA UTERINO

Si calcola che il 35% delle donne in età fertile abbia uno o più fibromi dell’utero e pertanto è uno dei tumori benigni con più alta incidenza; fortunatamente solo il 50% dei casi è sintomatico.

Sicuramente la loro formazione e sviluppo dipendono da elevati tassi di estrogeni circolanti. Dopo la menopausa, cioè quando il livello di estrogeni scende, i fibromi involvono spontaneamente e alcuni calcificano.

I fibromi possono essere situati in tutte le parti dell’utero e sono riccamente vascolarizzati: le arterie uterine portano sangue all’utero e quando questo è sede di fibromi tali vasi sono più grandi che di norma. Il fibroma, infatti, richiama a sé molto sangue e assomiglia vagamente ad una spugna. Quando il fibroma raggiunge dimensioni cospicue o ci sono più fibromi, il rifornimento di sangue all’utero è sbilanciato perché la maggior parte del sangue finisce ai fibromi a discapito della parete dell’utero: ecco perché a volte l’uovo fecondato prima e il feto poi, possono non essere adeguatamente riforniti oppure subire fenomeni di compressione; infatti la gravidanza potrebbe anche non avvenire per l’eccessivo ingombro dell’utero e/o dello scavo pelvico.

 

I SINTOMI DEL FIBROMA UTERINO

 

TRATTAMENTO

Non è possibile prevenire la formazione dei fibromi.

Attualmente ci sono tre diverse terapie consolidate per il trattamento del fibroma uterino:

Terapia Medica, Intervento Chirurgico (Isterectomia, Miomectomia) ed Embolizzazione.

Il trattamenti ormonali si basano essenzialmente sulla somministrazione di progestinici e di analoghi del GnRh.

I primi agiscono sulla menometrorragia, cioè sul sanguinamento, ma non sul volume del fibroma che talvolta ha invece la tendenza ad aumentarlo.

Gli analoghi del GnRh determinano la caduta degli estrogeni e quindi eliminano il ciclo mestruale con lo scopo di ridurre i sanguinamenti e di conseguenza l’anemia. La caduta degli estrogeni causa realmente la riduzione del volume dei fibromi in media del 30%, ma altera lo strato di parete di utero attorno al fibroma, rendendo difficoltosa l’eventuale asportazione chirurgica del solo fibroma ( miomectomia ). La sospensione di tali farmaci il più delle volte causa un aggravamento di tutti i sintomi, hanno effetti collaterali importanti ( vampate di calore, atrofia vaginale, ecc. ) e non dimentichiamo l’alto costo.

I trattamenti chirurgici sono indicati solo nei fibromi sintomatici, quando vi siano emorragie importanti, acute con anemizzazione o quando l’aumento del volume uterino determina sintomi da compressione. Può essere preso in considerazione l’intervento chirurgico anche dopo fallimento della terapia ormonale. La tecnica chirurgica (laparoscopica, laparotomica, colpotomica, isteroscopica) dipende dalla localizzazione (sottosierosa, intramurale, sottomucosa), dal numero e dal volume dei fibromi. La chirurgia consente sia il trattamento radicale mediante asportazione dell’utero (isterectomia) sia il trattamento conservativo ( miomectomia ) che mantiene i cicli mestruali e la possibilità di gravidanza, anche se espone al rischio di recidive. Ogni tecnica chirurgica racchiude rischi e complicanze oltre ai ben noti, seppur molto rari, inconvenienti di natura anestesiologica. La laparoscopia presenta il rischio di lesioni viscerali e vascolari; il tasso di complicanze nelle isterectomie e nelle miomectomie laparoscopiche si attesta intorno al 2%. La via laparotomica può complicarsi per emorragie, lesioni urinarie ed eventi tromboembolici. La via colpotomica può essere difficoltosa in relazione al  volume dell’utero e complicarsi, ma raramente per emorragie e lesioni dell’apparato urinario. In caso di miomectomia la possibilità di gravidanza può essere compromessa da cicatrici uterine, anche multiple. Sono infine da non sottovalutare le non trascurabili conseguenze psicologiche e sessuali di un intervento chirurgico soprattutto se non conservatore ( isterectomia totale ).

 

 L’EMBOLIZZAZIONE ARTERIOSA DEI FIBROMI UTERINI

Negli anni ottanta e inizio novanta l’embolizzazione delle arterie uterine è stata utilizzata nel trattamento delle emorragie irrefrenabili postpartum.

Successivamente il Ginecologo o il Chirurgo, prima di asportare il fibroma, per ridurre il rischio di importanti sanguinamenti durante l’intervento, chiedeva al Radiologo Interventista di eseguire un’ embolizzazione pre-chirurgia, perché come abbiamo detto il fibroma assomiglia ad una spugna piena di sangue.

Attualmente la tecnica di embolizzazione si è talmente raffinata che è diventata un atto operatorio a se stante. Si notò infatti che l’embolizzazione delle arterie uterine portava ad una drastica riduzione del volume del fibroma e dei sintomi ad esso correlati.

 

Caratteristiche di idoneità all’intervento di embolizzazione:

 presenza di utero fibromatoso con uno o più  fibromi sintomatici, individuati sul piano clinico ed strumentale ( Ecografia – Risonanza Magnetica ) che non siano peduncolati;

 

Caratteristiche di non idoneità all’intervento di embolizzazione:

 Gravidanza

 

Fase preoperatoria:

la visita ginecologica preliminare dovrebbe aver escluso patologie diverse dai fibromi quale causa della menometrorragia e stimarne l’entità.

 Esami che di solito vengono richiesti prima dell’intervento sono:

-       Il pap-test

-       L’ecografia eventualmente doppler

-       La Risonanza Magnetica Nucleare

-       Gli esami ematici di routine (emocromo, VES, elettroforesi delle proteine, funzionalità epatica e renale, coagulazione, sideremia, ferritinemia);

La visita dell’anestesista precede l’intervento e ha la funzione di valutare la paziente per decidere quale sia la migliore terapia antalgica da mettere in atto durante e dopo l’intervento.

L’operatore, “il chirurgo”, in questo caso il Radiologo Interventista, che ha visitato la paziente nei giorni o al massimo nel mese precedente, è colui che pone l’indicazione all’intervento di embolizzazione anche in base agli esami a corredo e alla sintomatologia. Il Radiologo Interventista deve inoltre informare preventivamente la paziente sulla tecnica e sulla metodica dell’embolizzazione, sui risultati e ottenere la firma di consenso all’intervento.

Dopo la discussione del caso clinico e l’accordo collegiale, la paziente sarà ricoverata il giorno prima dell’intervento. In questo modo si ottimizzano i tempi di ricovero.

Intervento:

l’intervento si svolge in sala angiografica d'ultima generazione con arco a C per radiologia interventistica (se vuoi saperne di più clicca qui).

Si parte come sempre dal confezionamento dell’accesso arterioso preferibilmente in arteria femorale comune (se vuoi saperne di più clicca qui).

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Fig. 1 – Accesso arterioso

 Successivamente si naviga all’interno delle arterie con cateteri e poi via via che ci si avvicina alla sede idonea per eseguire l’embolizzazione si passa all’uso di microcateteri.

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Fig. 2 – Cateteri e micro cateteri per embolizzazione.

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Fig. 3 - Schema anatomico e angiografia di arteria uterina con visualizzazione del fibroma

Di solito i microcateteri vengono riservati alla navigazione all’interno di arterie piccole e particolarmente tortuose.

Per eseguire la chiusura delle arterie che nutrono il fibroma ( embolizzazione ) si usano differenti tipi di materiali: microsfere, piccoli pezzetti di “spugna” alcoolica, spiraline metalliche e altri (Fig. 4) che, per lo più trasportate dal torrente circolatorio, arrivano a bloccare il flusso di sangue anche all’interno del fibroma.

Di solito i microcateteri vengono riservati alla navigazione all’interno di arterie piccole e particolarmente tortuose.

Per eseguire la chiusura delle arterie che nutrono il fibroma ( embolizzazione ) si usano differenti tipi di materiali: microsfere, piccoli pezzetti di “spugna” alcoolica, spiraline metalliche e altri (Fig. 4) che, per lo più trasportate dal torrente circolatorio, arrivano a bloccare il flusso di sangue anche all’interno del fibroma.

Il materiale usato più di frequente sono le microparticelle sferiche (polivinilformaldeide inerte) di dimensioni variabili ( 300-500, 500-700 e 700-900 micron).

Dopo anestesia locale eseguita a livello inguinale ( si ricorre all’anestesia epidurale soprattutto nel trattamento di fibromi voluminosi ) viene confezionato l’accesso in arteria femorale comune: da qui sospingendo filo guida e catetere si selettiva l’arteria ipogastrica e successivamente si imbocca l’arteria  uterina.

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Giunti in questa posizione si esegue l’angiografia.

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Come sapete il filmato dell’angiografia è una sequenza di immagini radiografiche che ci mostra come è fatta l’arteria uterina e quale parte di essa nutre il fibroma; viene studiata l’arteria uterina dei due lati. E’ possibile che solo una parte dell’arteria sia quella che nutre il fibroma e sarà proprio solo quella che sceglieremo di chiudere. L’embolizzazione avviene iniettando lentamente le piccole particelle che con la corrente del sangue andranno via via all’interno del fibroma bloccandone il flusso. A questo punto si osserverà il ristagno del fluido contenente le particelle che suggerirà di terminere la procedura perché i vasi della lesione sono chiusi.

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E’ importante sottolineare che la procedura di embolizzazione deve essere tassativamente eseguita da ambo i lati: è infatti ormai ben noto che la chiusura di una sola  delle due arterie uterine, indipendentemente che si tratti della destra o della sinistra non è sufficiente per garantire la contrazione del fibroma e la sua scomparsa.

Con una o due ulteriori sequenze angiografiche si confermerà che il fibroma è esangue, non più rifornito, embolizzato. Il catetere angiografico viene sfilato, l’introduttore arterioso viene rimosso e una medicazione compressiva applicata sulla sede di accesso (link).

La paziente viene condotta in reparto in barella.

L’intervento ha una durata complessiva di circa un’ora.

Assistenza postoperatoria:

dopo l’embolizzazione compare dolore in sede pelvica.

Se è stata eseguita l’anestesia epidurale il dolore inizia quando l’effetto dell’anestesia tende a svaniore e per questa ragione la terapia antalgica viene solitamente embricata prima del termine dell’intervento di embolizzazione.

Il dolore dipende quasi sempre dal volume dei fibromi ed è direttamente proporzionale a questo. Il dolore di solito è immediato e può durare 12-18 ore; è di solito conseguenza dell’ischemia (mancato apporto di sangue al fibroma).

Il trattamento analgesico deve essere tempestivo ed appropriato: dai morfino-simili per via endovenosa, antinfiammatori non steroidei, antispastici e antiemetici.

Come detto per fibromi di grosse dimensioni è utile l’anestesia epidurale. ed è possibile osservare una sintomatologia ritardata in 3°-5° giornata, caratterizzata da dolore pelvico-addominale associato a reazione peritoneale, nausea e febbre. Tale sintomatologia può persistere per qualche giorno ed è la conseguenza della necrosi del fibroma.

La paziente sarà controllata entro 2 mesi dal suo ginecologo inviante o dal Radiologo Interventista. L’efficacia del trattamento deve essere valutata con: anamnesi ed esame obiettivo per verificare l’evoluzione della sintomatologia emorragica e compressiva; emocromo, per monitorare l’anemia; CPK per verificare la correlazione tra caduta dei tassi di CPK e riduzione volumetrica del fibroma; eco-color-doppler o RM per confrontare la grandezza del fibroma prima e dopo l’embolizzazione e la rete perilesionale. La paziente sarà rivista dopo 6 e 12 mesi e poi annualmente.

Solitamente l’efficacia sulle menometrorragie è immediata, mentre la riduzione volumetrica completa si ottiene anche in 4-6 mesi: l’involuzione inizia dopo circa 3-4 settimane e continua fino a 8-12 mesi dopo, soprattutto per i grossi fibromi.

RISULTATI 

Ad oggi, il numero delle pazienti trattate nel mondo con embolizzazione è in costante aumento. La sintomatologia correlata al fibroma ( incontinenza urinaria, menorragia, senso gravativo addomino-pelvico ) scompare nel 73-98% delle pazienti trattate con embolizzazione. Ad 1 anno dal trattamento le dimensioni complessive dell’utero si riducono mediamente di almeno il 50%. In alcuni casi è possibile osservare la completa e definitiva regressione della massa tumorale. E’ tuttavia importante sottolineare che in circa il 10% dei casi potrebbe verificarsi una risposta parziale al trattamento, una ricrescita dei fibromi trattati o la crescita di nuovi fibromi.  Il tasso di complicanze maggiori dopo embolizzazione è basso, essendo compreso tra l’1 e il 2%.  L’amenorrea temporanea o permanente è riportata essere il 5% e il 2% rispettivamente ed è evento maggiormente presente in donne di età superiore ai 45 anni mentre appare essere estremamente rara in donne sotto i 35 anni.

CONCLUSIONI

La letteratura medica degli ultimi anni è ricca di pubblicazioni che sottolineano come l’embolizzazione dei fibromi uterini sia una tecnica efficace e una reale alternativa alla chirurgia più invasiva e demolitiva. Rispetto alla terapia ormonale, l’embolizzazione evita protocolli lunghi e gli effetti collaterali spesso importanti. L’embolizzazione del fibroma uterino potrebbe eliminare l’80% delle isterectomie ( asportazione utero ) e almeno il 50% degli interventi cosiddetti conservatori.

Non sono riportati effetti indesiderati e conseguenze psicologiche negative o gravi sulla sfera sessuale di pazienti sottoposte a embolizzazione e le gravidanze sono possibili. Oggi le indicazioni all’embolizzazione sono rivolte anche a donne giovani con desiderio di prole. Tuttavia, in queste pazienti è assolutamente necessario che la dose di radiazioni alle ovaie sia estremamente contenuta e ciò è generalmente correlato con l’esperienza di cateterismo dell’operatore.

Con l’intervento di embolizzazione eseguito dal Radiologo Interventista si possono trattare più fibromi nel corso del medesimo intervento, anche quelli molto piccoli o in via di formazione.

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Intervista fra il Dott. Clerissi e la Dott.ssa Favretti 

sull'Embolizzazione dei fibromi uterini

 

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