Il piede diabetico

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Autore: Dott. Cesare Massa Saluzzo
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(ha eseguito come primo operatore più di 5000 interventi di angioplastica per il salvataggio del "piede diabetico")

"Il Piede Diabetico"

Quando la neuropatia diabetica o l’arteriopatia degli arti inferiori compromettono la funzione o la struttura del piede possiamo parlare di piede diabetico.Le caratteristiche istologiche della arteriopatia cronica ostruttiva periferica ( AOCP ) nel diabetico non differisce dall’arteriopatia della popolazione non diabetica, ma diverse sono le caratteristiche cliniche: nei diabetici l’arteriopatia è più frequente e precoce, rapidamente progressiva, interessa entrambi i sessi, colpisce ambedue le gambe e interessa in particolar modo le arterie al di sotto del ginocchio.Quest’ultima caratteristica è la più importante ai  fini della cura perché le arterie della gamba e quelle del piede sono di calibro più piccolo rispetto a quelle della coscia, ciò comporta una maggiore difficoltà d’intervento. Altri fattori che caratterizzano le arterie del soggetto diabetico sono la calcificazione della loro parete, la prevalenza della chiusura totale dei vasi, multiple occlusioni o restringimenti della stessa arteria.

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Fig 1a - Arterie normali della gamba cioè sotto in ginocchio e del piede

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Fig. 1b - Arteriografie in soggetto diabetico: le arterie sotto il ginocchio sono rappresentate in nero: nel soggetto normale sono 3 e di circa 3mm di diametro. In questi casi mostrano dei restringimenti e delle occlusioni anche totali.

Il soggetto diabetico spesso manca del sintomo più precoce dell’arteriopatia periferica o arteriosclerosi: la claudicatio. La claudicatio o “male delle vetrine” è il dolore che insorge alla coscia o al polpaccio dopo un certo numero di passi e che costringe alla sosta. Il dolore è un segnale inviato dai muscoli che soffrono della carenza di ossigeno perché l’arteria (il “tubo”) che dovrebbe portare loro il sangue è malato: in altre parole dipende dal fatto che le arterie della gamba non riescono ad aumentare l’apporto di sangue durante lo sforzo fisico a causa della presenza di stenosi o occlusioni. Il dolore è tipico nei soggetti con problemi alle arterie, ma spesso è assente nei diabetici perché in questi coesistono problemi di natura neurologica sensitiva. Il paziente avrà una soglia del dolore maggiore rispetto alla realtà e addirittura potrebbe non accorgersi di avere un’arteriopatia alle gambe o di essersi ferito un piede.Nei diabetici, la neuropatia sensitiva comporta una certa difficoltà per il Medico di fare la diagnosi precoce di  arteriopatia e si arriva ad avere come primo segno dell’arteriopatia periferica un’ulcera al piede o alla gamba, una ferita che non guarisce o nei casi più gravi ad una gangrena del piede.
Per la diagnosi vengono vengono utilizzati più metodi in contemporanea:

1. Valutazione dei polsi periferici

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Fig. 2 - Palpazione della pulsazione di un’arteria periferica (la dorsale del piede)

Se vi è l’assenza del polso tibiale posteriore o dorsale si passa a metodi diagnostici più sofisticati.

2. Misurazione della pressione a livello del malleolo

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Fig. 3 - Valutazione della pressione arteriosa alla caviglia con strumento doppler portatile a onda continua

Se il rapporto tra la pressione alla caviglia e la pressione al braccio ( ABI ) è inferiore a 0.9 (valore normale compreso tra 0.9 e 1.3) probabilmente esiste un’arteriopatia periferica tanto più grave quanto è più basso il rapporto pressorio.

3. Esecuzione di un ecodoppler, per evidenziare la presenza di stenosi.

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Fig. 4 - Immagine ecodoppler

4. Ossimetria transcutanea, che valuta la quantità di ossigeno arriva ai tessuti del piede.

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Fig. 5 - Valutazione dell’ossimetria transcutanea sul dorso del piede

Se i quattro fattori sopracitati sono positivi si può far diagnosi di arteriopatia occlusiva periferica e l’unica terapia possibile è la tempestiva rivascolarizzazione del piede tramite angioplastica delle arterie o, in rarissimi casi tramite by-pass chirurgico.

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Fig.6 – Per 11 mesi il paziente è stato trattato da persone inesperte mediante applicazione di creme e disinfettanti aspecifici: era un piede ischemico di diabetico che necessitava di ricevere più sangue.

QUANDO è NECESSARIO RIVASCOLARIZZARE?

Se sono presenti:

  • dolore a riposo
  • ulcera o gangrena
  • claudicatio < 50 m

Si procede alla rivascolarizzazione del piede, iniziando con l’angiografia o arteriografia, esame radiologico diagnostico che consegna all’operatore, il Radiologo Interventista, delle immagini o dei filamti delle arterie della coscia, della gamba e del piede. In questo modo l’operatore vede l’esatta posizione delle occlusioni o dei restringimenti e decide quali materiali utilizzare per riaprirli. Successivamente, ma nel corso dello stesso esame,  il Radiologo Interventista esegue la ricanalizzazione delle arterie e l’angioplastica (PTA: percutaneous transluminal angioplasty) utilizzando quindi fili guida, palloncini e raramente stent (per maggiori informazioni sull'angioplastica clicca qui).

Complicazione e trattamento in 993 pazienti sottoposti a PTA

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L’angiografia e la conseguente angioplastica non necessitano dell’anestesia generale, ma solo l’anestesia locale del sito scelto per l’ingresso (per maggiori informazioni sull'accesso vascolare clicca qui); l’angioplastica non è dolorosa ed è efficace in quanto permette la guarigione dell’ulcera.

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Fig. 7 – Esecuzione di angiografia e di angioplastica su vasi di gamba in paziente diabetico

In centri qualificati e in mani allenate (almeno 500 pta distali all’anno) il successo tecnico dell’angioplastica è del 99%. Gli strumenti che si utilizzano sono molto piccoli e per essere introdotti in arteria necessitano di un piccolo foro di circa 1mm. In caso non si raggiunga la guarigione dell’ulcera entro breve tempo la procedura può essere ripetuta e perfezionata proprio perché l’intervento è la maggior parte dei casi ben tollerato dal paziente.

La soluzione chirurgica classica tramite by-pass non è quasi mai presa in considerazione per l’elevato insuccesso tecnico, ma ultimamente è stata rivalutata soprattutto per interventi ibridi: alcuni tratti di arteria vengono aperti dal Chirurgo ed altri riaperti mediante tecnica endovascolare.Nel momento in cui ci si trova in presenza di un’ulcera non bisogna mai escludere la presenza di un problema alle arterie.Se il problema alle arterie non viene preso il considerazione tempestivamente e non si diagnostica in brevissimo tempo si succederanno una serie di interventi infruttuosi che concorreranno all’amputazione della gamba a causa del progredire dell’infezione dell’ulcera e della gangrena con aumento del tasso di mortalità.

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Fig. 8 - Esecuzione by-pass in sala operatoria

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Fig. 9 - Interventi di amputazione minore in pazienti diabetici con arteriopatia periferica non trattata tempestivamente con angioplastica

IL PIEDE DIABETICO INFETTO

L’infezione è la complicanza più frequente e pericolosa di un’ulcera che può mettere a rischio il salvataggio dell’arto e la vita stessa del paziente.

L’ulcera va tenuta pulita.

L’infezione si instaura in particolar modo su un’ulcera aperta da molto tempo, non studiata e non curata nel modo adeguato.

L’infezione di un dito può estendersi al piede e poi alla gamba e condurre ad un’amputazione maggiore, di coscia.

Le lesioni, in base alla gravitò, possono distinguersi in acute e croniche.

L’infezione acuta mette a rischio la gamba o la stessa vita, quella cronica , meno eclatante del’infezione acuta e quindi più subdola, se sottovalutata e/o non trattata correttamente può trasformarsi in acuta.

Ci sono due tipi di piede diabetico infetto:

  • Piede diabetico infetto acuto
  • Piede diabetico infetto cronico

Il piede diabetico infetto acuto, caratterizzato da ascesso o flemmone

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da fascite necrotizzante

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o da gangrena umida o gassosa può mettere a repentaglio la conservazione dell’arto e la vita stessa della persona.

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La rapidità dell’intervento è la discriminante per salvare sia il piede, che il paziente.

Intervenire rapidamente vuol dire fare un trattamento chirurgico che permette di drenare il pus, ciò permette di valutare durante l’intervento quanto profonda ed estesa è l’infezione e quanto siano coinvolti i tessuti (tendini, muscoli, ossa).

Si deciderà  a questo punto se la ferita chirurgica debba restare aperta o se è possibile eseguire una chiusura chirurgica. In alcuni casi è necessario un secondo intervento definitivo che sarà scelto in base all’andamento clinico del paziente e alla mole di tessuto perduto, sia a causa dell’infezione che del trattamento chirurgico in urgenza. Inoltre si deciderà se necessario l’intervento endovascolare di rivascolarizzazione che in questo caso segue la pulizia e il periodo di infezione.

Ascesso e flemmoni

Quando a livello dei tessuti interni del piede si formano sacche di pus che possono rendersi evidenti spontaneamente (fistole superficiali) o nascondersi in profondità (sacche purulente)  si parla di raccolta ascessuale e di flemmone. Nella maggior parte dei casi il trattamento chirurgico di una raccolta purulenta si accompagna alla necessità di un’amputazione minore (dita, raggio o parti estese di piede).

Fascite necrotizzante

E’ un’infezione grave che può estendersi nel giro di poche ore o di pochi giorni in modo devastante tramite una fascia che ricopre i muscoli, fascia che appare grigia, necrotica.

Gangrena umida

La gangrena, cioè la necrosi dei tessuti molli, può coinvolgere piccole parti, quali le falangi, o parti più estese, come le dita, fino al piede (avampiede, meso e retropiede)

Il piede diabetico infetto cronico non necessita un trattamento in urgenza ma comunque un trattamento medico, nella maggior parte dei casi chirurgico ma non sempre demolitivo. L’infezione cronica può riguardare solo i tessuti molli e avremo il quadro della cellulite, oppure interessare anche l’osso e avremo quindi il quadro dell’osteomelite.

Cellulite

Infezione che interessa i tessuti molli e che necessita di un trattamento antibiotico.

Osteomielite

L’osteomielite è un’infezione che colpisce l’osso.

IL PIEDE DIABETICO RIPARAZIONE TISSUTALE

La riparazione tissutale è una serie di eventi che inizia dal danno alla cute e termina con la sua ristrutturazione. Si può dividere in fasi.

Fase essudativa o infiammatoria: le piastrine formano un “tappo” che occlude i vasi sanguinanti; il fibrinogeno si trasforma in fibrina che insieme alle piastrine forma un ulteriore tappo; i granulociti neutrofili puliscono la lesione dai detriti, da batteri e da eventuali corpi estranei; i macrofagi vengono coinvolti nel lavoro di pulizia.

Fase proliferativa: si forma  il tessuto di granulazione.

Fase ripartiva: si ha la transizione da un tipo di collagene ad un altro, la contrazione della ferita e la riorganizzazione della matrice extracellulare e termina la riepitelizzazione.

La riparazione tissutale può non sempre arrivare alla fase riparativa comportando quindi la non guarigione della lesione ulcerativa. La causa risiede in fattori locali o sistemici. I primi possono essere la presenza di infezione, di tessuto necrotico, corpi estranei o detriti, arteriopatia che crea ischemia locale, traumi ripetuti; i secondi possono essere l'inadeguato controllo del diabete, la malnutrizione, l'uso di farmaci.

IL PIEDE DIABETICO LA CHIRURGIA

Quando la prevenzione prima e l'angioplastica o pta dopo non siano sufficienti a impedire che si instauri una lesione è necessario un intervento chirurgico per risolvere il problema.

La chirurgia demolitiva comporta l'amputazione di una parte del piede: se l’amputazione consente il mantenimento della stazione eretta e la deambulazione è detta minore; se l’amputazione è al di sopra della caviglia è detta maggiore.

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Fig. 10 - Apparecchio  di scarico totale con staffa o con tacco; il paziente grazie a questa  protesi può deambulare senza gravare sulla lesione ulcerativa plantare

Se non arriva sangue al piede si instaura una ischemia; il piede ischemico lasciato a se stesso porterà alla morte dei tessuti, all'infezione di tessuti profondi e all'infezione dell'osso alla gangrena: questi sono i fatti che conducono alla chirurgia più demolitiva.

IL DOPO

Se un paziente viene seguito in modo adeguato e tempestivo da esperti di salvataggio d’arto, Diabetologi esperti di piede, Radiologi Interventisti esperti di angioplastiche di vasi tibiali sotto il ginocchio e di piede, Chirurghi, Fisiatri e Riabilitatori dedicati può guarire perfettamente.

Quando un paziente è guarito cosa succede?

Nel caso di un'amputazione maggiore esiste comunque la possibilità di usufruire di protesi molto complianti e alle quali ci si adatta in tempi relativamente brevi.

L'amputazione minore permette di riprendere a condurre una vita normale, è però necessario prendere tutti quegli accorgimenti che permettano ti prevenire la formazione di nuove ulcere come visite del piede, controlli ossimetrici, eco-Doppler e all’utilizzo di presidi specifici come ad esempio scarpe apposite.

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Fig 11 - Scarpe idonee

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Fig. 12 - scarpa non idonea

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Fig 13 - Scarpe adatte a contenere un piede medicato e un plantare di scarico

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Regole per la prevenzione delle lesioni ai piedi in soggetto diabetico

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RIASSUMENDO…

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Un sentito ringraziamento all’amico Giacomo Dott. Clerici per averci concesso di utilizzare parte del materiale di sua produzione per la composizione di questo articolo.

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 MASTER sul Piede diabetico 

IIl Dottor Clerissi e il Dottor Massa Saluzzo docenti all'interno del Master sul Piede Diabetico , che affronta la gestione del piede diabetico attraverso un approccio multidisciplinare: chirurgo vascolare, ortopedico, diabetologo e radiologo interventista gestiscono insieme il problema.

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Documento consenso:

TRATTAMENTO ARTERIOPATIA PERIFERICA NEL DIABETICO

Dicembre 2012

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Introduzione 

II piede diabetico è una complicanza cronica del diabete altamente invali­dante. Colpisce pazienti con neuropatia e/o vasculopatia periferica e per tale motivo si può definire la complicanza delle complicanze. Tradizionalmente la neuropatia periferica è stata considerata responsabile del piede diabetico, in realtà i dati epidemiologici dimostrano una elevata prevalenza della vasculopatia periferica nei pazienti diabetici (1,2) ed in par­ticolare associata o no a neuropatia periferica essa è presente nel 50% dei casi di lesioni agli arti inferiori (3).

La presenza di neuropatia può mascherare i sintomi clinici della vasculo­patia periferica come la claudicatio ed il dolore a riposo, per cui l'ulcera che non riesce a guarire e la gangrena stessa di aree più' o meno estese del piede possono essere le manifestazioni iniziali di una vasculopatia misconosciuta fino a quel momento.

Il piede diabetico colpisce in genere pazienti con lunga durata di malattia, con possibili diverse comorbilità e particolarmente fragili e complessi da gestire clinicamente.

E' proprio in considerazione di questa elevata comorbilità', soprattutto car­diovascolare, che non bisogna focalizzare la propria attenzione esclusiva­mente sulla lesione a carico del piede ma bisogna piuttosto prendere in considerazione il paziente nella sua interezza non trascurando le diverse componenti cliniche che possono minare la vita del paziente e condizionare pesantemente l'esito del trattamento finalizzato alle problematiche del piede. Sarebbe un errore considerare il piede separato dal resto del corpo perché il piede diabetico è una manifestazione locale di una con­dizione sistemica.

Un altro aspetto da considerare è la complessità' delle manifestazioni del piede diabetico, dove problematiche di ischemia e neuropatia si intersecano con problematiche di biomeccanica, infezione, riparazione delle ferite etc. Tutta questa varietà di componenti rende praticamente inapplicabile un ap­proccio monospecialistico ed è invece altamente auspicabile un approccio di team multidisciplinare in grado di garantire il recupero funzionale del piede, insieme ovviamente, laddove è possibile, all'ottimizzazione delle condizioni cliniche del paziente. L'equipe multidisciplinare deve includere figure pro­fessionali che abbiano competenza specialistiche diversificate come diabe-tologo, chirurgo vascolare, radiologo interventista, ortopedico, infettivologo, cardiologo, tecnico ortopedico e podologo. L'approccio multidisciplinare è risultato essere la formula vincente in tante esperienze riportate in letteratura (4,5).

L'elevata prevalenza dell' arteriopatia periferica (PAD) nei pazienti diabetici in generale (1-3), è dovuta alla natura stessa della malattia, considerata a tutti gli effetti un "equivalente di malattia cardiovascolare ". Quindi non bisogna sottovalutare l'influenza dell' allungamento della vita media e della maggiore durata di malattia e, nei diabetici in insufficienza renale terminale, il ruolo del trattamento dialitico, che rappresenta una condizione peggiorativa (6). Da questo quadro emerge il peso che questa complicanza viene ad avere sia per il singolo paziente, che per la collettività' data la cronicità' del quadro ed il non infrequente ricorso ali' amputazione maggiore. E' necessario, a questo punto sottolineare, che nonostante il progressivo in­cremento della prevalenza della PAD nei pazienti diabetici, in Italia il nu­mero delle amputazioni maggiori si è ridotto a fronte di un progressivo aumento degli interventi di rivascolarizzazione distale (7).

A questo punto vanno fatte alcune considerazioni:

  1. In Italia abbiamo una lunga tradizione in tema di rivascolarizzazione di­stale, e siamo tra i pochi paesi dove la rivascolarizzazione nei diabetici viene effettuata di routine (8-11).
  2. Dati italiani indicano che la prevalenza delle amputazioni maggiori è tra le più basse in Europa (7).
  3. 3)   I dati Eurodiale (ricavati da 14 centri di terzo livello presenti in Europa) pongono quelli italiani ai primi posti in termini di outcomes clinici quali :
    a) percentuale più' alta di guarigione delle lesioni,

b) più bassi livelli di amputazione (3,12).

In virtù' di queste considerazioni riteniamo opportuno produrre un docu­mento di consenso sul trattamento della vasculopatia periferica del paziente diabetico redatto sulla base dell'esperienza clinico-assistenziale italiana che dia alla comunità scientifica un indirizzo nella gestione di questa com­plicanza in termini di salvataggio d'arto.

Per la definizione del documento facciamo riferimento alla letteratura spe­cifica internazionale degli ultimi 20 anni ed in particolare alla letteratura internazionale prodotta da gruppi italiani nello stesso periodo che si carat­terizza per la particolare numerosità' dei casi trattati e per il ricorso sempre più' frequente al trattamento endovascolare (8-11. 13-15).

2. Epidemiologia e prevalenza 

L'esame della letteratura indica una prevalenza della vasculopatia periferica variabile in funzione delle caratteristiche della casistica esaminata. Infatti, in una recente revisione della letteratura, Jude riporta una prevalenza com­presa tra 8 e 30 % dei diabetici (16). Faglia riporta un valore intorno al 22% nei diabetici tipo 2 neodiagnosticati (2), mentre Prompers riporta un valore di circa il 50% nei pazienti diabetici con ulcera(3).

3. Caratteristiche dell'arteriopatia periferica nel paziente diabetico 

La vasculopatia periferica nel soggetto diabetico è una patologia ostruttiva su base aterosclerotica a localizzazione sistemica ma con alcune peculiarità delle caratteristiche istopatologiche, soprattutto per la maggiore incidenza di calcificazioni vascolari (17, 22).

I pazienti diabetici con patologia arteriosa periferica sono generalmente più giovani, presentano un BMI maggiore, sono più spesso neuropatici e ma­nifestano un maggior numero di co-morbilità di tipo cardiovascolare ri­spetto alla popolazione non diabetica.

La peculiarità clinica dell'arteriopatia ostruttiva nel diabetico è la sua ra­pida progressione e, diversamente dalla popolazione non diabetica, la sua espressione topografica che è prevalentemente distale e bilaterale inoltre, le pareti arteriose sono molto spesso calcifiche e prevalgono le occlusioni rispetto alle stenosi.

La naturale risposta adattativa alla riduzione di flusso all'interno di un vaso arterioso è la neoangiogenesi ma nel soggetto diabetico questa risulta ridotta e con essa la capacità di generare circoli collaterali di compenso (23, 29).

4. Particolarità biologiche 

L'endotelio svolge una funzione critica nel mantenimento del flusso san­guigno e della integrità parietale, in condizioni fisiologiche favorisce la va­sodilatazione, contrasta l'adesione dei monociti e presenta caratteristiche antitrombotiche e fibrinolitiche.

Le manifestazioni vascolari associate al diabete mellito (macroangiopatia diabetica) risultano da una disfunzione severa dei componenti fisiologici più rappresentativi quali le cellule endoteliali, le cellule muscolari liscie e le piastrine.

Sia nel diabete tipo i che tipo 2 i meccanismi alla base di una disfunzione va­scolare sembrano essere riconducibili alla iperglicemia, allo stress ossida-tivo, alla formazione di AGE (prodotti di glicosilazione avanzata) e ad alterati livelli di PCR (proteina C reattiva). In aggiunta nel diabete tipo 2 il costante e persistente stato di infiamma­zione dell'endotelio altera la funzione vascolare e di conseguenza riveste un importante ruolo nell'eziologia della patologia aterosclerotica. (30,31) Fisiologicamente l'ossido nitrico (NO) è un potente vasodilatatore che ini­bisce l'attivazione delle piastrine, la migrazione e la proliferazione delle cel­lule muscolari lisce. Nel diabete mellito la capacità di vasodilatazione mediata dall'ossido nitrico è compromessa risultando in una aumentata su­scettibilità della parete arteriosa a meccanismi di aterosclerosi (3). E' l'iperglicemia cronica che porta alla inibizione della produzione di ossido nitrico per inattivazione del suo enzima di sintesi, e porta anche ad un'au-mentata produzione di radicali liberi con incrementato stress ossidativo. Gli acidi grassi liberi, liberati in eccesso dall'insulino-resistenza, riducono ul­teriormente l'omeostasi dell'ossido nitrico.

Ruolo determinante nel danno endoteliale e nella progressione della placca aterosclerotica è la persistenza di uno stato prò-infiammatorio (16,32). Il diabete inoltre favorisce uno stato procoagulativo per una maggiore ag­gregazione piastrinica stimolata da fattori intrinseci di attivazione delle pia­strine e non bilanciata dall'azione degli inibitori endogeni, che appaiono ridotti.

Inoltre i pazienti diabetici hanno una incrementata espressione di molecole di adesione sulla parete piastrinica. A queste anomalie si aggiunge una coa­gulazione alterata per incrementati livelli di fibrinogeno, PAI-1, fattore VII, fattore tessutale, tutti fattori procoagulativi e, per ridotti livelli di anti­trombina III e proteina C, anticoagulanti endogeni. Quindi in aggiunta ad un potenziamento della funzione piastrinica, l'anomalo stato coagulativo, aggrava la progressione della placca aterosclerotica e di conseguenza la pone a rischio di rottura, oltre a favorire un'occlusione trombotica dell'arteria. La trombosi è stata dimostrata sulle lesioni aterosclerotiche delle coronarie, dell'aorta e delle carotidi, mentre a carico degli arti inferiori è un evento estremamente raro (33, 34).

5. Particolarità anatomiche 

La distribuzione anatomica delle lesioni arteriose degli arti inferiori è diffe­rente tra la popolazione diabetica e quella non diabetica. Nel soggetto dia­betico l'arteriopatia periferica coinvolge più comunemente i vasi al disotto del ginocchio, le arterie tibiali e la peroniera, è simmetrica e multisegmentale e le stenosi possono interessare anche i vasi collaterali (35,36). Anche la severità della lesione arteriosa è differente tra le due popolazioni, infatti il soggetto diabetico presenta un maggior numero di steno-ostruzioni a livello della femorale profonda, poplitea, peroniera, tibiale anteriore e po­steriore tino ad interessare le arterie plantari del piede(37, 38). La caratterizzazione della tipologia e dell'estensione delle lesioni arteriose è fondamentale per definire la prognosi clinica. Infatti un coinvolgimento dei vasi infrapoplitei si associa, nel soggetto diabetico, ad un elevato rischio di amputazione maggiore se non sottoposti a rivascolarizzazione distale (39).

  • La vasculopatia periferica è una complicanza del diabete diffusa, presente in oltre il 50% dei pazienti con ulcera. 
  • Presenta una localizzazione prevalentemente distale e simmetrica con rapida progressione. 
  • Sia nel diabete di tipo 1 e 2 i meccanismi patogenetici ed evolutivi sono riconducibili all’iperglicemia cronica. 

6. Evoluzione e prognosi 

II quadro clinico d'esordio è raramente sintomatico (claudicatio e dolore a riposo) mentre più frequentemente aprono la scena clinica lesioni caratte-ristiche di fasi più avanzate di malattia (lesioni ischemiche e gangrena). Per tale motivo le classificazioni cliniche correntemente in uso sono poco e male applicabili al diabetico ed è più opportuno utilizzare la classificazione delle lesioni della Texas Universitv (40). L'arteriopatia periferica, presente nel 50% dei pazienti diabetici con lesioni ulcerative, ha ormai consolidato il suo ruolo come fattore prognostico per amputazione maggiore. La prognosi negativa delle lesioni ulcerative ischemiche diabetiche è pro­babilmente legata al coesistere di fattori quali, la distribuzione anatomica delle lesioni arteriose, l'infezione, la neuropatia, l'insufficienza renale e la concomitante presenza di altre manifestazioni vascolari che coinvolgono il distretto coronarico e cerebrale.

Circa il 27% dei soggetti diabetici con vasculopatia periferica va incontro nei 5 anni successivi ad una progressione della patologia ed il 4% dei sog­getti è sottoposto ad intenvento di amputazione maggiore, circa il 20% ma­nifesta un evento cardiovascolare (infarto del miocardio, ictus cerebri). Ancora più grave è la prognosi di pazienti diabetici con ischemia critica del­l'arto, il 30% può andare incontro ad amputazione maggiore ed il 20% muore ad 1 anno per patologia cardiovascolare (41). La non rivascolarizzazione al pari della presenza di lesioni arteriose a livello dei vasi sotto al ginocchio si è confermata essere un fattore predittivo indi­pendente di amputazione (14). Anche l'infezione e la dialisi sono risultati fattori prognostici indipendenti sull'evento amputazione maggiore. Anche la mortalità' è più' elevata nei soggetti non rivascolarizzati, la pato­logia cardiaca è risultata la causa maggiore di decesso. Se la storia di pato­logia cardiaca rappresenta un fattore di rischio indipendente per una aumentata mortalità nel soggetto diabetico, anche l'età, la dialisi e l'impos­sibilità di una procedura di rivascolarizzazione distale rappresentano de­terminanti indipendenti di bassa sopravvivenza. (15) II rischio della coesistenza di una cardiopatia ischemica in un paziente diabetico con vasculopatia periferica è del 50% e negli ultimi decenni nume­rosi studi hanno messo in evidenza come in questa categoria di pazienti, con il peggiorare dell'arteriopatia periferica, si verifichi un aumento del nu­mero di decessi per eventi cardiovascolari. (42, 44)

Riconoscere quindi nel paziente diabetico la presenza di una condizione di vasculopatia periferica è fondamentale per l'elevato rischio associato di morbilità e mortalità cardiovascolare.

La contemporanea presenza di ischemia miocardica silente e non nota, si­gnificativamente più frequente nei diabetici che nei non diabetici (45,47), deve indurre il clinico ad attuare nel diabetico con vasculopatia periferica un approfondimento diagnostico anche del distretto coronarico, - per sma­scherare una possibile coronaropatia associata.

Anche la frequente associazione di insufficienza renale cronica (IRC) in trat­tamento emodialitico nel diabetico con vasculopatia periferica contribuisce a renderne più complessa la gestione clinica.

La peculiarità che contraddistingue tale condizione clinica è la maggiore se­verità e la più rapida progressione del danno vascolare periferico e siste­mico rispetto ai diabetici non in IRC terminale l'infiammazione, lo stato protrombotico, lo stress ossidativo, l'insulino resistenza e la cistatina C sono stati tutti associati all'aumentata prevalenza di PAD nei diabetici in tratta­mento dialitico. Caratteristiche morfologiche principali dell'AOP nel sog­getto diabetico in trattamento dialitico sono le diffuse calcificazioni vascolari, il coinvolgimento prevalente delle arterie più distali infra-poplitee e dell'alterata microcircolazione. La patologia renale è tra i più impor­tanti fattori che determinano l'andamento sfavorevole di una lesione ulcerativa. La dialisi è tra i più rilevanti fattori di rischio di ulcerazione ed amputazione in pazienti diabetici (3, 48). La procedura di rivascolarizzazione distale in pazienti dializzati rappresenta una sfida per l'alta suscettibilità alle infezioni, la scarsa capacità di guari­gione delle lesioni ulcerative anche a causa dell'uremia, la maggiore com­plessità dell'arteriopatia ostruttiva periferica che si complica ulteriormente per la presenza di marcate calcificazioni delle pareti vasali. In questa cate­goria di pazienti il rischio di amputazione maggiore è 4.7 volte più alto ri­spetto ai soggetti non dializzati (49).

Inoltre i diabetici con insufficienza renale manifestano un maggior numero di complicanze peri-operatorie quali sepsi, insufficienza cardiaca ed il tasso di mortalità è notevole (range 2.4-13%) a seguito di trattamento di rivasco-larizzazione chirurgica. L'infarto miocardico è la più frequente causa di morte ed è la stessa severità del quadro renale, nelle sue differenti fasi di patologia, che influenza il rischio di infarto miocardico e morte (49). Nonostante la complessità della gestione sia generale che locale dei pazienti diabetici con ischemia dell'arto in trattamento dialitico gli ultimi dati mo­strano dei risultati favorevoli per quanto riguarda il salvataggio d'arto con una percentuale ad i anno del 65-75% (50).

 

• Clinicamente il soggetto diabetico presenta raramente manifestazioni sintomatiche iniziali tipiche della vascu­lopatia periferica (claudicatio, dolore a riposo) per la frequente concomitanza di una neuropatia sensitivo-motoria.

  • Per tali motivi non sono utilizzabili le classificazioni della PAD in uso per i non diabetici. Frequentemente le manifestazioni iniziali sono lesioni ischemiche, ulcere e gangrena. 
    • E' opportuno utilizzare la classificazione delle lesioni della Texas Universiry. 
    • La coesistenza di una cardiopatia ischemica (anche si­lente) nel diabetico con PAD è del 50%: è necessario quindi un approfondimento diagnostico anche nel di­stretto coronarico e carotideo. 
    • I pazienti diabetici in IRC e dialisi hanno una PAD più severa e più rapidamente progressiva e di più difficile trattamento. 

 

7. Percorso diagnostico per livello di cura 

II percorso diagnostico per livello di cura fa riferimento al set minimo di esami che deve essere garantito qualora si sospetti una vasculopatia perife­rica. E' ovvio che i centri che effettuano prevalentemente screening e ge­stione delle lesioni meno complesse, dovranno effettuare esami non invasivi che permettano di inquadrare il paziente come ischemico o meno e soprat­tutto valutare l'eventuale peso negativo della componente ischemica sulla evoluzione della lesione ulcerativa.

E' importante sottolineare la necessità di un tempestivo invio del paziente a centri specializzati e multidisciplinari qualora la lesione risulti ischemica. I dati della letteratura dimostrano lo scarso potenziale riparativo delle le­sioni ischemiche e l'elevato rischio che una sovrapposizione infettiva possa trasformare in gangrena una lesione originariamente modesta. Tale rischio aumenta con l'aumentare della durata della lesione ed il perdurare di un trattamento inefficace in assenza di idonea rivascolarizzazione. La ricerca della vasculopatia periferica deve essere fatta in tutti i soggetti diabetici con ulcera ai piedi.

La valutazione non invasiva inizia dalla ricerca dei polsi arteriosi (femorale, popliteo, pedidio e tibiale posteriore). In realta' mentre la valutazione dei polsi ha un indubbio valore in caso di indagini epidemiologiche, essa pre­senta evidenti limiti quando si vuole verificare la presenza di una compo-nente ischemica in un paziente con ulcerazione in atto. In particolare il polso pedidio può essere assente fino al 30% di pazienti esenti da patologia va­scolare, ha scarsa riproducibilità' ed a volte può essere presente nonostante la condizione di ischemia. Il polso tibiale posteriore sembra essere più' af­fidabile e dare informazioni più' certe sulla presenza o meno di una condi­zione ischemica. Deve essere enfatizzato che anche l'occlusione di una sola arteria tibiale o l'interruzione della sola arcata plantare nei diabetici, può portare all'ulcera ischemica. Va pertanto sottolineato che anche la presenza di un singolo polso tibiale ben palpabile, non esclude la natura ischemica dell'ulcera.

In ogni caso il limite più' grande della valutazione di ischemia con l'utilizzo dei polsi è dato dal fatto che un polso assente non ci da alcuna informazione sul deficit di perfusione e quindi sul potenziale riparativo della lesione stessa (51). Apelqvist in un'ampia survey di diabetici con ulcera ed ischemia peri­ferica indica in > 50% i pazienti che non sarebbero stati catalogati come ischemici se oltre la palpazione dei polsi non fossero stati sottoposti a va­lutazione strumentale (52).

Inoltre metodiche semeiologiche come la ricerca del polso femorale o i cam­biamenti di colore del piede in funzione della posizione, comunemente usate nei non diabetici, possono essere influenzate da molti fattori confondenti per cui la diagnosi di vasculopatia periferica nel diabetico con sole manovre semeiologiche viene considerata una scienza inesatta (53,54). E' evidente che in presenza di un'ulcera è necessario effettuare una valuta­zione più' oggettiva. anche perché questa deve guidarci nella scelta tera­peutica ed in particolare nella indicazione ad un eventuale interventi' di rivascolarizzazione. La valutazione non invasiva dei pazienti diabetici con ischemia dell'arto può essere effettuata da metodiche ciascuna con vantaggi, svantaggi e soprat­tutto limiti, per cui molto spesso è necessario integrarle tra loro. L'indice pressorio caviglia braccio (ankle/brachial index ABI) è definito dal rapporto tra pressione sistolica alla caviglia e pressione sistolica al braccio, è considerato uno dei test di riferimento in quanto riproducibile, sensibile e specifico per la definizione della presenza di una vasculopatia periferica. Nei diabetici il rapporto ABI andrebbe calcolato con la pressione sistolica alla caviglia minore tra quella rilevata alla TA e TP (55). L' American Diabetes Association raccomanda lo screening con l’ABI in tutti i diabetici >5O anni, ed in tutti i diabetici insulinodipendenti anche più gio­vani ma in presenza di altri fattori di rischio cardiovascolari. In base al va­lore dell' ABI è possibile definire l'entità' della compromissione vascolare periferica. Il valore di ABI 0.91-1.30 è indice di normalità'; 0.70-0.90 indice di compromissione iniziale; 0.40-0.69 indice di compromissione significa­tiva; <0.40 indice di una compromissione grave (56). Dal punto di vista clinico, in presenza di un'ulcera un valore di ABI> 0.7 è indicativo di una perfusione ridotta ma comunque sufficiente a garantire la guarigione' della lesione stessa. In ogni caso un ABI ridotto è un predittore importante di eventi cardiovascolari e morte prematura. Un ABI >1.30 indica che le arte­rie sono scarsamente compressibili per la presenza di estese calcificazioni di parete, ma non esclude la presenza di vasculopatia periferica (57). Tale va­lore ha già' di per se delle implicazioni prognostiche negative, in quanto correla con la neuropatia periferica (58) e rappresenta un fattore di rischio per eventi cardiovascolari (59), ma per quanto riguarda la vasculopatia perife­rica viene considerato un valore non diagnostico. In alcuni casi, sempre per effetto delle calcificazioni, l’ABI può avere un valore falsamente nor­male, ma in questo contesto l'esame obiettivo del piede come pure la ricerca dei polsi può aiutare nella diagnosi di vasculopatia periferica (60). Le calci­ficazioni di parete sono comuni nei soggetti diabetici di lunga durata, nei soggetti in dialisi, maggiormente se diabetici e negli anziani . Un test correntemente utilizzato per superare il problema delle calcifica­zioni è la misurazione della pressione all'alluce ed il rapporto tra la pres­sione sistolica all'alluce e la pressione sistolica brachiale (toe/brachial index TBI) (61). Questo è possibile perché i vasi delle dita sono generalmente ri­sparmiati dalle calcificazioni. In condizioni di normalità la pressione all'al­luce è circa 30 mmHg meno della pressione alla caviglia ed il TBI è >0.75. Un TBI <0.75 è indicativo di vasculopatia periferica, ma valori assoluti >5O mmHg sono comunque indicativi di una perfusione adeguata a garantire la guarigione di un' ulcera nei pazienti diabetici. Negli stessi soggetti un va­lore <50 mmHg è indicativo di ischemia critica come pure valori di TBi < 0.3 sono indicativi di una perfusione insufficiente per una guarigione Tale test appare di difficile applicazione nei pazienti con gangrena digitale. Un test di approfondimento è l'ossimetria transcutanea, che misura la ten­sione cutanea di ossigeno (TcPO2), trova indicazione nei pazienti diabetici con lesioni ulcerative o gangrena, claudicata) o dolore a riposo in quanto è una misura della presenza e severità' della patologia vascolare, e soprattutto è in grado di dare informazioni sul potenziale riparativo di una lesione (62). Valori < 30 mmHg sono indicativi di uno scarso potenziale riparativo. Il valore di riferimento è circa 50 mmHg. Il rapporto tra valore di TcPO2 e livello di perfusione non ha un andamento lineare perché valori uguali a zero, non indicativi in realta' di assenza di flusso quanto piuttosto di una grave ischemia in cui tutto l'ossigeno disponibile è consumato a livello dei tessuti. Esiste tutta una serie di condizioni in cui il valore dell'esame deve essere preso con cautela ad esempio quando è presente un edema periferico oppure una cellulite diffusa che possono influenzare la rilevazione e dare valori inattendibili.

La tcPO2 è utilizzata anche per la definizione dei livelli di amputazione in quanto in grado di predire con buona probabilità' la guarigione della ferita chirurgica quando sono presenti valori > 50 mmHg, tale guarigione appare incerta con valori tra 30 e 50, improbabile con valori < 30 (63).

Per completare lo studio morfologico-funzionale dell'albero vascolare si pone indicazione all'esecuzione di un ecocolordoppler (64).

Sarà cura del singolo centro decidere se le informazioni fornite sono sufficienti per avviare il paziente alla rivascolarizzazione oppure se sono necessari ulteriori approfondimenti diagnostici mediante AngioRM o AngioTC .

E' da sottolineare che le linee guida dell' ACC/AHA raccomandano l'utilizzo dell' AngioRM rispetto all' AngioTC per la migliore definizione e i minori rischi derivanti dalla tecnica stessa (65).L'arteriografìa, esame invasivo, non va mai considerato come tecnica diagnostica di per se, ma rappresenta la prima fase dell' approccio terapeutico; essa potrà essere proposta a scopo diagnostico esclusivamente nei casi in cui le altre metodiche abbiano fallito nella definizione della topografia della malattia arteriosa steno-ostruttiva.

8. Diagnostica vascolare propedeutica alla rivascolarizzazione 

La valutazione pre-intervento di salvataggio d'arto del paziente diabetico attualmente uno dei temi più dibattuti in quanto la necessità di ottenere una caratterizzazione il più possibile ampia del distretto vascolare arterioso con vasculopatia avanzata si scontra sia con la necessità di essere il meno invasivi possibile sia con i costi elevati delle tecniche diagnostiche più avanzate.

Nonostante il tumultuoso progresso delle tecniche d'imaging vascolare non si è tuttavia giunti ad ottenere una tecnica gold-standard che soddisfi tutte le necessità diagnostiche.

Una corretta valutazione del paziente con vasculopatia periferica non può limitarsi allo studio degli arti inferiori, ma deve comprendere i vasi epiaortici, l'aorta addominale e le arterie renali, questa valutazione spesso non viene eseguita con conseguente aumento delle complicanze associate all'intervento.

Le tecniche vascolari attualmente utilizzate nello studio vascolare sono : Eco-Color-Doppler, l'Angio-Tc e PAngio-RM.

L'eco-Color-Doppler (ECD) è considerata la tecnica di prima istanza nello studio vascolare, tanto da essere considerato in molti centri un esame esau­stivo ai fini di una valutazione pre-procedurale.

Il principale vantaggio di questa tecnica è certamente correlato ad una ele­vata sensibilità e specificità associata alla non invasività (66). Inoltre lo stu­dio ecocolor doppler ha la peculiarità di poter fornire informazioni sull'emodinamica dell'arteriopatia ostruttiva e sullo stato del run-off. Tut­tavia, questa tecnica è sempre stata limitata da due principali fattori: l'ope­ratore dipendenza e le condizioni del paziente (67). In centri ad elevato volume di esami i risultati del doppler sono sicuramente meno condizionati da questi fattori, sebbene una valutazione completa che comprenda le arte­rie renali, l'aorta addominale, gli assi iliaci, gli assi femoro-poplitei ed i vasi di gamba necessiti di tempi tecnici maggiori.

L'utilizzo di tecniche di studio di seconda istanza, quali la Angio-TC e l'an-gio-RM ha consentito di ottenere immagini panoramiche e ripetibili che consentono non soltanto la pianificazione dell’intervento, ma anche la valutazione contemporanea di eventuali altre sedi di patologia vascolare in pochi minuti (68). Limite di queste tecniche è il costo significativo e la ridotta disponibilità.

L’Angio RM (ARM) sta acquisendo sempre più un ruolo importante nella diagnostica pre-rivascolarizzazione anche grazie alle bobine di nuova generazione che, grazie all’ampia panoramicità ottenibile, consentono di estendere lo studio dal circolo intracranico all’arcata plantare, utilizzando peraltro mezzi di contrasto che non hanno nefrotossicità. Le performance in termini di sensibilità e specificità della RM nella maggior parte dei distretti vascolari sono estremamente elevate, fino a valori sovrapponibili all’angiografia standard a livello del distretto aorto iliaco, degli assi femoro poplitei, a livello renale e carotideo; i principali limiti sono correlati alla contaminazione venosa a livello del piede, alla mancanza di informazioni sul tipo di placca (calcifica, lipidica o fibrosa) che determina la steno-ostruzione, alla presenza di artefatti ferromagnetici (stent metallici, artroprotesi) con assenza di segnale a tale livello e alle controindicazioni generali allo studio RM (pace-maker, claustrofobia, protesi o suture metalliche) (69,71)

L’angio-TC multistrato è considerata ad oggi l’esame gold standard nella maggior parte dei distretti vascolari con valori di sensibilità e specificità sovrapponibili alla arteriografia; questa tecnica rispetto alla RM risente meno di artefatti ferromagnetici ed è in grado di caratterizzare in modo ottimale il tipo di placca che determina la steno-ostruzione permettendo di scegliere il tipo di tecnica e di materiale più idoneo ad ogni singola procedura. Inoltre rispetto alla RM può fornire informazioni aggiuntive sui parenchimi circostanti e sulla eventuale presenza di comorbidità associate. Inoltre l’evoluzione tecnologica in questo settore ha consentito di ridurre al minimo i tempi di acquisizione, che arrivano ad essere di pochi secondi, e di ridurre la dose di radiazione al paziente a valori accettabili. Il principale limite di questa tecnica rimane nell'utilizzo di mezzi di contrasto organo-iodati die, sebbene in una percentuale sempre minore, possono avere un effetto ne-frotossico in questa specifica categoria di pazienti, soprattutto se si consi­dera che a questo studio deve associarsi il trattamento endovascolare con arteriografia relativa ed utilizzo dello stesso tipo di contrasto (70, 71).

  • La ricerca della vasculopatia periferica deve essere fatta in tutti i soggetti diabetici con ulcera ai piedi.
  • L'ABI (o in alternativa il TBI) è considerato un buon test di screening.
  • La diagnosi di vasculopatia periferica nel diabetico con solo manovre semeiologiche non è affidabile. 
  • La valutazione non invasiva della PAD nei diabetici com­porta l’integrazione di diversi esami. 
  • La Ossimetria Transcutanea (tcPO2) è in grado di pre­dire il potenziale ripartivo della lesione ischemica o ul­cerativa. 
  • L'ecocolordoppler fornisce informazioni morfologiche e funzionali, ha elevata sensibilità e specificità. 
  • L'angio RMN o l’AngioTC vanno effettuati quando sono necessari ulteriori approfondimenti diagnostici. 
  • L'arteriografia non va mai considerata un esame esclu­sivamente diagnostico

9. La Terapia medica 

Al momento attuale non sono presenti in letteratura dati relativi al trattamento medico della vasculopatia periferica nel diabetico in alternativa alla rivascolarizzazione. E' invece importante sottolineare il ruolo della corre­zione dei fattori di rischio modificabili per malattia cardiovascolare soprat­tutto nella fase perioperatoria e nel follow-up dei pazienti rivascolarizzati

9.1. Vasodilatatori 

Nel trattamento della Arteriopatia Ostruttiva degli Arti Inferiori nei pazienti diabetici la terapia medica con prostanoidi . intesa come infusione endo­vena di analogo stabile della prostaciclina (PGI2) Iloprost/Alprostar per 3-4-settimane non rappresenta una alternativa alla rivascolarizzazione chirurgica (72).

Non sono stati effettuati trials clinici randomizzati e controllati di confronto di efficacia con la terapia chirurgica nei pazienti con ischemia critica né si potranno organizzare per la problematica etica.

La terapia con prostanoidi nel trattamento della ischemia cronica degli arti inferiori assume rilevanza nell'alleviare il dolore nell'attesa di rivascolariz­zazione chirurgica, nel migliorare la perfusione post-rivascolarizzazione e nel migliorare la qualità di vita (73).

9.2. Antiaggreganti/anticoagulanti 

Per quanto riguarda la terapia antitrombotica/anticoagulante nella pre­venzione primaria e secondaria dell'arteriopatia ostruttiva degli arti infe­riori suggeriamo le linee guida pratiche della American College of Chest Phisicians 9Th del 2012 (74), tenendo presente che il diabete condiziona co­munque uno stadio di rischio superiore ed una documentata resistenza agli antiaggreganti (75,76).

In pazienti diabetici con età > 50 anni asintomatici per PAD attuare la pre­venzione primaria utilizzando monoterapia giornaliera con aspirina (75-l00 mg) a lungo termine come suggerito anche per gli eventi cardiovascolari.

Per la prevenzione secondaria vanno distinti i diversi stadi:

- PAD sintomatica (claudicatici intermittens): aspirina (75-100 mg/die) o clopidogrel (75mg/die)

Sconsigliati la doppia antiaggregazione e gli anticoagulanti

- PAD con claudicatio intermittens e riduzione della capacità di eserci­zio fìsico   (senza lesioni): cilostazolo (lOO-2OOmg/dìe) in aggiunta ad aspirina (75-100mg/die) o clopidogrel (75mg/die)

Sconsigliati la pentossifillina, gli eparinoidi e prostanoidi

-  CLI ovvero PAD sintomatica ed ischemia critica/ dolore a riposo/le­sioni ischemiche   in attesa di rivascolarizzazione   aspirina (75-100 mg/die) o clopidogrel (75mg/die)

-  Prima e dopo  PTA doppia antiaggregazione con aspirina (75-lOOmg/die) e clopidogrel (75mg/die) per 1 mese ed a seguire singola antiaggregazione a lungo termine

-  Dopo by-pass doppia antiaggregazione con aspirina (75-100mg/die) e clopidogrel (75mg/die) per 1 anno piuttosto che singola antiaggre­gazione e anticoagulante;

-  Le linee guida della Società Europea di Chirurgia Vascolare riportano che nei primi 6 mesi dopo una rivascolarizzazione chirurgica l'utilizzo di anticoagulanti orali aumenti la pervietà primaria del graft, sebbene non se ne tragga una raccomandazione di grado elevato (77)

Il ruolo dei più moderni anticoagulanti è ancora da valutare soprattutto in termini di costo/efficacia e rischio di sanguinamento rispetto all'indubbio vantaggio del meno frequente controllo ematochimico.

  • Non vi sono evidenze sull'uso di terapia medica nella PAD del diabetico in alternativa alla rìvascolarizzazione. 
  • Fondamentale la correzione dei fattori di rischio nella fase perioperatoria e nel follow-up. 
  • I vasodilatatori non trovano indicazione nella PAD del diabetico. 
  • La terapia antiaggregante è sempre indicata nei diabe­tici con PAD 

10. Il paziente non rivascolarizzabile o candidato ad amputazione primaria 

10.1 Utilizzo cellule staminali. 

Una quota di pazienti diabetici, fortunatamente sempre più piccola, pre­senta un quadro di ischemia critica non rivascolarizzabile. La loro prognosi ad un anno risulta essere particolarmente severa .Di qui la necessità di in­dividuare nuove strategie di cura. Tra queste è stata recentemente proposta la rivascolarizzazione "non chirurgica" con l'utilizzo di cellule staminali. L'occlusione cronica di un vaso arterioso a livello di un arto risulta essere un potente stimolo per l'avvio di una neoangiogenesi con lo sviluppo di circoli collaterali. Allo stesso modo la presenza di un quadro di ischemia critica determina un'iperattivazione dei meccanismi di neoangiogenesi che hanno la finalità di riparare il danno ischemico. L'immissione di cellule staminali totipotenti ed indifferenziate potrebbe amplificare il meccanismo della ri­parazione attraverso la neoangiogenesi. I problemi e le questioni aperte ri­guardano: quali cellule staminali utilizzare, se autologhe o etcrologhe; i siti di prelievo delle stesse; le modalità di impianto nell'arto ischemico. Una metanalisi pubblicata sul Journal Vascular Surgery nel 2011, riporta l'effi­cacia della terapia cellulare nell'evitare l'amputazione maggiore (78). In Ita­lia un' esperienza analoga (79) riporta i risultati preliminari in un gruppo di io pazienti, candidati ad amputazione e sottoposti ad autotrapianto con cellule staminali autologhe prelevate dal midollo osseo con un solo caso di amputazione maggiore a distanza di 18 mesi.

Ulteriori esperienze sono necessaire per confermare l'efficacia della terapia cellulare con cellule staminali prima che questa metodica entri a far parte del bagaglio terapeutico della PAD.

10.2 L'amputazione primaria 

Si definisce amputazione primaria, un intervento demolitivo non preceduto da nessun tentativo di rivascolarizzazione. L'amputazione è da prendere in considerazione come terapia primaria solo in alcuni casi di piede diabetico. Le amputazioni maggiori (sopra la caviglia) nel piede diabetico sono neces-sarie e indicate quando si presenta uno stato settico legato alla gangrena del piede non controllabile con la terapia antibiotica. In questo contesto è lo stato generale a condizionare la scelta amputativa in quanto un intervento tardivo potrebbe compromettere la sopravvivenza del paziente. Un ulteriore aspetto da valutare è la funzionalità' residua dell'arto in fase post riparativa: una necrosi estesa alla maggior parte del piede impedisce con presumibile certezza una ripresa funzionale del piede stesso e quindi è inutile procedere ad una rivascolarizzazione. In particolare alcuni pazienti, indipendentemente dalla lesione del piede, hanno già' un deficit funzionale (esiti di ictus, atteggiamento dell'arto in flessione etc) che di fatto impedisce la deambulazione. In questi casi l'am­putazione maggiore non solo non modifica la qualità' della vita, ma addirittura può rappresentare un miglioramento della stessa perché permette la risoluzione tempestiva di un problema clinico importante es la risolu­zione del dolore.

L'impossibilità di riparare il danno arterioso è divenuta la principale indi­cazione alle amputazioni primarie, per circa il 60% dei pazienti. 1 pazienti allettati con piede diabetico hanno una contrattura spastica degli arti in po­sizione antalgica. Questi pazienti non hanno particolari vantaggi da una ri­costruzione vascolare aggressiva e un'amputazione primaria può essere un opzione terapeutica appropriata.

È implicito che un primario goal dell'amputazione è ottenere la guarigione dell'estremità più distalmente possibile. L'energia spesa per la deambula­zione aumenta con l'aumentare del livello di amputazione. La conservazione dell'articolazione del ginocchio e di una buona porzione di tibia permette l'uso di protesi leggere, e permette una deambulazione precoce e indipen­dente a pazienti anziani o defedati. In conclusione il livello ideale di ampu­tazione è il livello più distale che ha possibilità di guarire. La possibilità di guarigione di amputazione sopra il ginocchio è di circa il 90% rispetto al 80% delle amputazioni con conservazione dell'articolazione. Nella pratica clinica la capacità di guarigione ad un determinato livello può essere pre­detta sulla base della pressione parziale di O2 tessutale. Il ritorno alla deambulazione riveste un ruolo essenziale nella qualità della vita di questi pazienti, Gli enormi passi in avanti fatti nel campo della protesizzazione e della riabilitazione hanno fatto si che deambulare sia una reale possibilità per oltre il 50% di questi pazienti.

• L'amputazione primaria è indicata in caso di infezione, che minacci la vita del paziente, e di necrosi estesa a tutto il piede. 

11. Indicazioni alla rivascolarizzazione

L’ischemia periferica è fattore di rischio per amputazione (80,81), per tale motivo la vasculopatia periferica necessita di una diagnosi precoce al fine di mettere in atto tempestivamente tutte le strategie terapeutiche atte ad evitare l’evento demolitivo. Nel momento in cui si trova davanti ad una lesione ulcerativa in un paziente diabetico con vascolopatia periferica bisogna innanzitutto valutare l’utilità di un intervento di rivascolarizzazione ed in secondo luogo effettuare la scelta della metodica di rivascolarizzazione anche sulla base dei seguenti criteri clinici: il potenziale riparativo della lesione, le condizioni locali del piede e la usa funzionalità in fase post ripartiva, le condizioni dell’albero vascolare ed infine le condizioni generali del paziente. Per potenziale riparativo si intende la reale possibilità di guarigione che la lesione presenta in funzione della perfusione del piede. Da questo punto di vista l’ossimetria transcutanea e la valutazione della pressione all’alluce possono essere di aiuto in quanto registrano, al di la di stenosi, ostruzioni, circoli collaterali, con una certa precisione se il flusso ematico distale è sufficiente a garantire la riparazione tissutale. Secondo la TASC 2 (82) le lesioni  a carico del piede vanno generalmente incontro a guarigione se la pressione all’alluce è > 50 mmHg e se la TcPO2 è > 50 mmHg viceversa la possibilità di guarigione è remota se entrambi i parametri presentano valori < 30 mmHg. Deve essere però puntualizzato che la TASC non fa riferimento specificatamente ai diabetici ed include quindi anche  la popolazione non diabetica. Faglia, in una  popolazione esclusivamente diabetica, rivede criticamente i livelli di TcPO2 e pone per i valori inferiori a 34 mmHg una indicazione assoluta alla rivascolarizzazione con una probabilità di amputazione pari ad 85% in caso di mancata rivascolarizzazione, per i valori di ossimetria compresi tra 34 e 40 mmHg una indicazione meno pressante alla   rivascolarizzazione, ma una considerevole residua probabilità' di amputa­zione, quantizzabile intorno al 20%. Infine per i pazienti con valori ossimetrici > 40 mmHg l'indicazione ad una rivascolarizzazione può essere presa in considerazione laddove la perdita dì tessuto è significativa ed in qualche maniera si vuole velocizzare la riparazione o laddove è presente una osteo­mielite che si vuole trattare in maniera conservativa (83). In ogni caso una volta che è stato identificato un deficit di perfusione la ri­vascolarizzazione deve essere sempre presa in considerazione. Un'altra evenienza da sottolineare è quella che si determina quando appa­rentemente l'arto è perfuso con valori di TcPO2 > 40 o la pressione all’alluce > 50 mmHg, ma la lesione nonostante un ottimale trattamento locale non mostra segni di evoluzione verso la guarigione. Una volta escluse influenze negative di carattere generale, come ad esempio una condizione di malnu­trizione, o condizioni locali come la presenza di una sottostante osteomie­lite, va sempre presa in considerazione la possibilità' che le valutazioni non invasive abbiano sovrastimato la perfusione periferica e di fatto l'ulcera non evolve positivamente perché è presente una condizione ischemica non ade­guatamente evidenziata. Quindi in presenza di ulcera che non evolve posi­tivamente nell'arco di 4-6 settimane una componente ischemica va sempre sospettata. Le condizioni del piede e le sue potenzialità' di recupero funzionale in fase post riparativa possono innanzitutto condizionare la scelta terapeutica in termini dì salvataggio d'arto o amputazione primaria. A volte una vasculo­patia periferica nel diabetico può manifestarsi direttamente con un quadro di gangrena, indurre la falsa convinzione che un intervento di rivascolariz­zazione sia tardivo e quindi inutile (84) e condizionare una scelta di tipo amputativo. Va sempre pero' tenuta in considerazione la possibilità' che il quadro clinico locale appaia più' compromesso della realta', perché la componente infettiva (reversibile con idonea terapia) può condizionare pesan­temente il quadro clinico ed in realta' è possibile salvare un arto che a prima impressione sembra definitivamente perso.

Esistono pero' dei quadri cimici in cui il coinvolgimento è tale che non c'è praticamente alcuna possibilità di salvare il piede ed è necessario ricorrere ad una amputazione maggiore. Anche in tali casi pero', come nei casi di am­putazione parziale del piede è indispensabile studiare l'albero vascolare per­ché la corre/ione di una ischemia sottostante può innanzitutto permettere una distalizzazione dell' amputazione e garantire una migliore e tempestiva guarigione del moncone amputativo.

Le condizioni locali del piede non devono condizionare in maniera assoluta la scelta terapeutica né quando l'estensione della lesione sembra non per­mettere il salvataggio dell'arto ma nemmeno quando le lesioni sono piccole e per tale motivo sembrano non essere degne di approfondimento diagno­stico. In realta' vari studi dimostrano che la dimensione dell'ulcera è un fat­tore di rischio per mancata guarigione e per amputazione maggiore ( 3, 11). Questa osservazione apparentemente ovvia e cioè che ad ulcera grande cor­risponde un rischio aumentato di amputazione, in realta' sottende un aspetto estremamente importante della gestione del piede diabetico laddove si conviene che le lesioni del piede non nascono mai grandi ma lo diventano perché la cura è stata inadeguata e quindi inefficace o peggio ancora il qua­dro è stato completamente sottovalutato e cure non idonee sono state per­seguite per tempi troppo lunghi. Anche per il piede vale il concetto del "Time is tissue" per cui cure tardive o inadeguate comportano la perdita irreversi­bile di porzioni di tessuto del piede (85). In particolare è stato dimostrato che laddove un piede acuto con un flemmone venga inviato immediata­mente ad un centro di terzo livello gli esiti in termini di amputazioni sono sicuramente migliori rispetto a quando invece c'è un passaggio intermedio in altra struttura ospedaliera non idonea alla gestione del caso, con relativa perdita di tempo. Tutto questo perchè le cure necessaire e cioè, adeguato debridment chirurgici e rivascolarizzazione distale, vengono effettuate in maniera tempestiva (86,87).

Il coinvolgimento dell' albero vascolare è un elemento in grado di condizio­nare significativamente sia la scelta di effettuare una rivascolarizzazione sia la modalità' con cui effettuarla. Sara' importante valutare la condizione delle arterie iliache e femorali comuni per poter definire il tipo di intervento. Al­trettanto importante è valutare il run-off distale. Una rivascolarizzazione anche ottimale non ha modo di persistere nel tempo se non viene garantito un adeguato flusso a valle della rivascolarizzazione stessa. In ogni caso qua­lunque sia la scelta endoluminale o chirurgica con by-pass la rivascolariz­zazione deve permettere la ricostituzione di un flusso diretto fino alla pedidia e/o alla arcata plantare (88).

Un ulteriore aspetto è dato dalle condizioni generali del paziente su cui an­diamo a porre indicazione di intervento di rivascolarizzazione. Gli elementi che bisogna prendere in considerazione sono numerosi e tra questi ad esem­pio al primo posto l'aspettativa di vita e la presenza di comorbilita'. Appare chiaro quindi che il paziente va innanzitutto inquadrato dal punto di vista internistico generale. Uno degli argomenti dibattuti è quello relativo alla aspettativa di vita. I so­stenitori della rivascolarizzazione periferica mediante by pass pongono 2 anni come aspettativa minima di vita per un approccio chirurgico, mentre ci sarebbe un generale atteggiamento negativo con entrambe le tecniche per i pazienti con aspettativa <6-12 mesi (89). Probabilmente è corretto non ge-neralizzare e valutare di volta in volta anche in funzione dell' eventuale mi­glioramento della qualità di vita legato al controllo del dolore nel momento in cui 1' ischemia viene rimossa Per quel che riguarda le comorbilita' va tenuto in attenta valutazione tutto l'albero vascolare: un paziente con vasculopatia periferica può avere una concomitante patologia coronarica nella meta' dei casi, una concomitante patologia carotidea in un altro terzo dei casi ed in circa 15-20% dei casi le due condizioni possono concomitare (90). Da quanto detto ne derivano delle considerazioni di carattere diagnostico e terapeutico. Per quel che concerne la diagnostica non bisogna mai sottoporre un pa­ziente diabetico ad una rivascolarizzazione distale se non è stato almeno sottoposto ad una valutazione cardiologica (stato emodinamico ed even­tuale studio della riserva coronarica) ed ad un ecodoppler dei tronchi so­vraortici (ricerca di placche emodinamicamente significative nel territorio della carotide interna). E' evidente che, se il paziente dovesse avere in que­sti distretti una condizione meritevole di intervento, tale intervento avrebbe la priorità' .

Il diabete e l'insufficienza renale terminale sono fattori di rischio indipen­denti di vasculopatia periferica. La prevalenza della PAD tra i pazienti con insufficienza renale in trattamento dialitico è stata riportata fino ad una per­centuale del 77% (91). L'insufficienza renale predice in maniera indipen­dente la mancata guarigione di ulcere ischemiche e neuroischemiche e 1' amputazione maggiore (92,93)

Amputazioni primarie vengono riportate in percentuali comprese tra 22 e 44% per lesioni ischemiche in pazienti in dialisi. Questi pazienti sono diffi­cili da trattare e la mortalità a breve termine è elevata e questo potrebbe in­fluenzare negativamente la decisione di effettuare una procedura di rivascolarizzazione (94). In una casistica di circa 1000 pazienti diabetici con ulcere ischemiche o neuro-ischemiche, gli outcomes maggiori in termini di guarigioni, amputazioni maggiori e decessi erano peggiorativi per i pazienti che erano in dialisi rispetto agli altri (95). In un'altra casistica viene riportata una mortalità' perioperatoria compresa tra 3 e 17 % dopo interventi di rivascolarizzazione chirurgica (prevalentemente per cardiopatia ischemica) e una bassa sopravvivenza anche a lungo termine (45%). Viene riportato anche un basso salvataggio d'arto con percentuali comprese tra 40 e 76% tra i pazienti sopravvissuti ed in genere la perdita dell'arto è dovuta alla ischemia persistente, all'estensione della gangrena, alla presenza di una in­fezione non controllata ed un esteso coinvolgimento del calcagno e dell'avampiede. Anche la bassa frazione di eiezione e lo scarso run-off distale sono elementi peggiorativi degli esiti (96,97). Una delle valutazioni più' estese presenti in letteratura è quella di Venerino (98) che in una revisione della propria casistica di pazienti diabetici con PAD e lesioni agli arti inferiori conferma che i diabetici in generale hanno gli outcomes di salvataggio d'arto, amputazione e morte peggiori che nei non diabetici, ma poi andando a descrivere il limb salvage dei diabetici con diverso grado di compromissione della funzione renale (espressi come classi CKD) mostra come ad i anno il limb salvage rate dei diabetici in classe 1-2 è del 71 % ed invece quelli appartenenti alla classe 3-5 hanno un limb salvage rate del 56.5% che include un 61.4% di quelli che hanno un'ulcera rispetto al 40.7 di quelli che invece hanno gangrena. In genere i dializzati sottopo­sti a bypass sembrerebbero andare peggio di quelli trattati con PTA (99) e questo sarebbe confermato anche da una recente casistica giapponese(100). Per quel che riguarda in particolare il trattamento endovascolare nei pa­zienti diabetici con insufficienza renale Lepantolo (6) afferma che "sebbene non ci siano evidenze per supportare un trattamento endovascolare al posto del by-pass in questi pazienti ad alto rischio, la rivascolarizzazione endoluminale appare attraente come trattamento da considerare come prima op­zione ammesso che il flusso adeguato possa essere portato all'area dell'ulcera". In realta' i lavori non sono molti. Rabellino (101) utilizzando la tecnica endovascolare raggiunge un limb salvage del 58.6% con un follow-up medio di 15 mesi. Oraziani (102) in una casistica contente pazienti in dia­lisi senza o con diabete (54%) registra un salvataggio d'arto intorno ad 80%. Infine in una casistica recente in cui sono stati seguiti pazienti diabetici con PAD e lesioni gravi del piede (ii), i pazienti in dialisi hanno sicuramente degli outcomes peggiori rispetto ai diabetici non in dialisi, ma in ogni caso si riesce a registrare un limb salvage rate ad un anno del 57% ottenuta in una casistica non selezionata di casi conseguenti. (103) L'età' dei pazienti è un' altra variabile da prendere in considerazione, anche se si tratta di "fattore di rischio non modificabile". Ovviamente i soggetti adulti fino ai 65-70 anni non pongono alcun problema relativo all'età' ed una eventuale scelta chirurgica può essere effettuata più' liberamente ov­viamente quando l'età' clinica corrisponde a quella anagrafica. Diverso è il discorso per i soggetti anziani che hanno maggiori comorbilita'. Nelle casi­stiche riportate sia con by-pass che con angioplastica l'età' non esercita mai un impedimento. I dati dimostrano che comunque anche le persone anziane hanno giovamento in termini di limb salvage dall'effettuare la rivascolariz-zazione anche se pero' l'aspettativa finale di vita non cambia (104) In conclusione nel paziente diabetico, come nel paziente non diabetico, l'in­dicazione alla rivascolarizzazione nasce dal quadro clinico. E' indicato un intervento di rivascolarizzazione nei pazienti in cui è stata diagnosticata una arteriopatia ostruttiva cronica ed in cui siano presenti i se­guenti quadri clinici:

- presenza di claudicalo invalidante e/o dolore a riposo

- presenza di lesione trofica in presenza di una TcPO2 < 30 mmHg o nei casi in cui la lesione trofica adeguatamente trattata per un mese non tende a guarigione.

Possono essere valutati come criteri di esclusione (assoluti o relativi) per la rivascolarizzazione l'aspettativa di vita < 6 mesi, le patologie psichiatriche, la flessione antalgica della gamba sulla coscia non suscettibile di tratta­mento, l'allettamento cronico del paziente, l'assenza di deambulazione.

  • Una volta diagnosticato un deficit di perfusione la rivascolarizzazione deve essere sempre presa in considerazione. 
  • Trattamenti chirurgici di eventuali deficit perfusivi co­ronarici e/o carotidei hanno la priorità rispetto alla ri-vascolarizzazione periferica. 
  • Anche i pazienti diabetici affetti da IRC in dialisi possono essere candidati alla rivascolarizzazione: 
    • diagnosi di arteriopatia ostruttiva cronica 
    • presenza di claudicatìo invalidante e/o dolore a riposo 
    • presenza di lesione trofica con tcPO2 <30mm di HG 
    • ulcera adeguatamente trattata per un mese senza segni di guarigione

 

Criteri di esclusione alla rivascolarizzazione 

  • aspettativa di vita < 6 mesi
  • gravi patologie psichiatriche 
    • assenza di deambulazione 
      • flessione antalgica della gamba non suscettibile
        di trattamento

 

12. Scelta della tecnica di rivascolarizzazione: l’approccio “angioplasty first”

Numerosi studi hanno valutato il ruolo della rivascolarizzazione percutanea (PTA) nei pazienti diabetici affetti da ischemia periferica critica, soprattutto legata a malattia dei vasi infra-poplitei (2, 10, 11, 13,15,105, 116) I risultati complessivi di questi studi sono favorevoli per quanto riguarda la fattibilità della procedura, l'efficacia tecnica, il ridotto numero di complicanze e le percentuali di salvataggio d'arto.

Se da un lato la rivascolarizzazione chirurgica garantisce una pervietà a distanza dei bvpass migliore di quella dell'angioplastica, gravata da elevate percentuale di restenosi (117, 120), dall'altro l'angioplastica è proponibile anche in pazienti che non possono essere candidati al bvpass a causa delle pesanti comorbilità, della ridotta aspettativa di vita, del coinvolgimento nella sofferenza tissutale dei possibili siti di anastomosi distale, della non disponibilità di vene adeguate o dell'assenza di un'adeguata "landing zone" (2,11,13,104,114).

Molti pazienti affetti da ischemia critica sono pazienti anziani con elevata comorbilità ed elevato rischio operatorio (27,121), in questi casi una procedura di rivascolarizzazione chirurgica non è proponibile, mentre una procedura percutanea, ridotta tecnicamente alla minima invasività possibile, può ancora essere considerata al fine comunque di migliorare la qualità di vita. La procedura di angioplastica non necessita di anestesia generale e può essere effettuata con modeste controindicazioni in soggetti cardiopatici e nefropatia con elevato rischio chirurgico-anestesiologico (2,13,114). In casi complessi la procedura può essere divisa in più step, onde ridurre lo stress ed i volumi di mezzo di contrasto somministrato, valutando dopo ogni fase il risultato clinico e la funzione renale e procedendo ad una rivascolarizzazione più approfondita solo in caso di necessità e dopo aver verificato il non deterioramento della funzione renale. L'angioplastìca può essere facilmente ripetuta in caso di restenosi-riocclusione o essere effettuata dopo fallimento di bypass (2, 122, 124) Esiste inoltre un grande sforzo industriale verso la creazione di strumenti nuovi (palloni a basso profilo e di grande lunghezza, palloni a rilascio di farmaco, aterotomi, stent non medicati e medicati etc.) che rendono l'angioplastica sempre più proponibile anche in situazioni di malattìa estrema e soprattutto che garantiscono una migliore pervietà a distanza dei vasi trattati (124,129).Nei pazienti che possono essere trattati con entrambe le metodiche, chirurgica o percutanea, qualora si decida per un approccio "angioplasty fìrst strategy" deve essere seguita la regola fondamentale di rispetto delle cosiddette "landing zones" chirurgiche. In generale è possibile affermare che l'angioplastica non impedisce, in caso di fallimento, il successivo confezionamento di bypass (130). Esistono tuttavia segnalazioni contrarie indicative di come una procedura di bypass distale dopo fallimento della rivascolarizzazione percutanea sia più difficile ed associata con un incremento di complicanze e fallimenti (131, 132). E' pertanto imperativo che la procedura di rivascolarizzazione percutanea venga eseguita da operatori esperti in grado pertanto di identificare correttamente e di rispettare tecnicamente le cosiddette "landing zones" per eventuali bypass distali di salvataggio da effettuarsi in caso di fallimento della procedura percutanea. Anche l'uso di stent va effettuato con estrema attenzione, in quanto un'eventuale restenosi/riocclusione rende il successivo trattamento problematico o impossibile sia dal punto di vista chirurgico che percutaneo. Viceversa è da segnalare come anche l'opzione chirurgica debba rispettare le ipotesi di futuro trattamento percutaneo: la chiusura definitiva della femorale superficiale mediante legatura, per esempio, rende impossibile un eventuale re intervento percutaneo volto a ristabilire pervietà della stessa in caso di fallimento dei bypass.

Anche nel contesto di un approccio "angioplasty first", persistono alcuni quadri ostruttivi vascolari di pertinenza prevalentemente chirurgica:

La   patologia  ostruttiva   coinvolgente  la   femorale  comune  e  la   sua biforcazione. Si tratta di  una patologia generalmente non correlata all'arteriopatia diabetica (133), trattabile con un intervento chirurgico risolutivo, di scarso impegno anestesiologico e traumatico, proponibile praticamente in tutti i pazienti che ne sono affetti.

Occlusioni    estremamente    lunghe    degli    assi    femoro-popliteo    ed infrapopliteo. Sull'entità di tale estensione non esiste un parere univoco e l'expertise locale assume dunque una particolare rilevanza. Il trattamento percutaneo di tali lesioni è attualmente gravato da elevata incidenza di restenosi e di ripetizione della procedura (118,133,134), mentre il bypass distale in vena autologa si propone come la soluzione più efficace e duratura (117, 118, 135).

La rivascolarizzazione chirurgica mediante bypass va effettuata dopo adeguato imaging dell'albero vascolare (ecocolordoppler angio-TC, angio RMN o angiografia) considerando una serie di importanti variabili che ne condizionano il successo e le complicanze come riportato nella flow chart allegata (Fig. 1).

CONDIZIONI CLINICHE GENERALI.

In primo luogo vanno valutati i rischi connessi con la procedura chirurgica di bypass (tipo di bypass, tipo di anestesia) in rapporto alle condizioni cliniche globali del paziente in termini di età, comorbilità, aspettativa di vita.

VALUTAZIONE DELLE LESIONI DEL PIEDE.

Mentre    la    rivascolarizzazione    percutanea    può    essere    proposta sostanzialmente in ogni tipo di lesione del piede, il confezionamento di un bypass richiede un'attenta valutazione della sede dell'anastomosi distale che può essere o meno coinvolta da alterazioni tissutali. Entrambe le metodiche inoltre devono confrontarsi con il tipo di correzione chirurgica ortopedica programmata per il tipo di lesione: le amputazioni dell'avampiede infatti possono interrompere le comunicazioni vascolari tra i sistemi dorsale e plantare rendendo funzionalmente "terminali" le rispettive vascolarizzazioni.

VALUTAZIONE DEL TIPO DI BYPASS (PROTESI/VENA). Da considerarsi il tipo di bypass (prossimale/distale), la disponibilità di una vena e la sua qualità.

VASO DESTINATO ALL'ANASTOMOSI DISTALE: definizione del vaso adatto ad accogliere l'anastomosi distale del bypass in considerazione del diametro del vaso, della presenza di malattia/calcificazioni, dell'angiosoma sede della lesione ischemica, della presenza di malattia dei piccoli vasi distali che condiziona uno scarso run off (136,137).

  • La rivascolarizzazione percutanea (PTA) nei pazienti
    diabetici con PAD mostra risultati positivi in merito alla fattibilità, Tefficiacia tecnica, il ridotto numero di com­ plicanze e la percentuale di salvataggio d'arto. 
  • La PTA è proponibile anche in soggetti con comorbilità, ridotta aspettativa di vita, significativo coinvolgimento tessutale a carico del piede. 
  • Un trattamento con PTA deve essere eseguito in modo
    tale da non precludere un successivo intervento di by- pass. 
  • La chinirgia classica è indicata in caso di coinvolgimento della femorale comune e sue biforcazioni o di occlusioni estremamente lunghe (a parere dell'operatore) degli assi femoro-poplitei ed infrapoplitei 

13. Obiettivi della rivascolarizzazione 

II corretto riconoscimento del quadro anatomico vascolare del paziente in relazione alle lesioni tissutali è fondamentale nel guidare la strategia della rivascolarizzazione.

a.      RIVASCOLARIZZAZIONE COMPLETA. Peregrin ha analizzato il successo clinico della PTA nei pazienti diabetici con ischemia critica d'arto considerando il numero di vasi infrapoplitei trattati con   successo   (138);   il   concetto   che   ne   emerge   è   che   la
rivascolarizzazione "completa" è meglio della rivascolarizzazione parziale, il salvataggio d'arto ad un anno è stato 56% senza una linea di flusso diretto al piede (o vasi infrapoplitei aperti) e, rispettivamente, 73%, 80% e 83% con 1,203 vasi infrapoplitei aperti. Faglia inoltre ha dimostrato che l'angioplastica delle arterie
tibiali ha un risultato migliore, in termini di salvataggio d'arto, della sola riapertura della peroniera (139).

b.     "WOUND RELATED ARTERY". Quando non è possibile ottenere una rivascolarizzazione completa per motivi tecnici o per la necessità di ridurre i tempi procedurali e la dose di mezzo di contrasto, gli sforzi vanno concentrati sulla cosiddetta "wound related  artery",  cioè  la  rivascolarizzazione deve  mirare alla
riapertura dell'arteria che irrora l'angiosoma del piede sede delle lesioni ischemiche (140,141). La rivascolarizzazione della "wound related artery" si associa a percentuali migliori di salvataggio d'arto che non quella di arterie dirette ad altri angiosomi (142,143). Anche nel caso della rivascolarizzazione chirurgica mediante bvpass distali Neville ha dimostrato che i bypass diretti sulla wound related artery portano a valori più elevati di salvataggio d'arto (137).

In caso di  impossibilità tecnica di trattamento delle arterie tibiali, l'angioplastica dei rami perforanti distali della peroniera è un'opzione praticabile con successo. La rìvascolarizzazione completa e quella della wound related artery non devono essere perseguite in modo acritico: la procedura deve essere sempre personalizzata sulla base di una strategia tecnica realistica, sulla tipologia delle lesioni tissutali e del loro trattamento chirurgico ortopedico e sulle condizioni cliniche generali del paziente (144).

  • L'obiettivo principale della rìvascolarizzazione è la ria­pertura di tutte le arterie occluse. 
  • In caso di impossibilità tecnica occorre mirare alla rica­nalizzazione della wound related artery, secondo il con­cetto di "angiosoma". 
  • La rivascolarizzazione deve essere personalizzata in re­lazione al quadro clinico complessivo del piede

14. Follow up rivascolarizzazioni 

Uno degli aspetti mai sottolineati a sufficienza è la stretta relazione tra dia­bete e malattie cardiovascolari. Se questo è vero per la popolazione diabe­tica in generale, lo è ancora di più' per quella con complicanze vascolari in atto. In particolare i pazienti diabetici con una vasculopatia periferica pre­sentano in circa il 50 % dei casi una coronaropatia associata e nel 30% dei casi una patologia carotidea. Le due localizzazioni sono presenti contemporaneamente in circa il 15-20%. I fattori di rischio cardiovascolare noti come l'ipercolesterolemia, l'iperten­sione, il fumo sono resi più' aggressivi dalla presenza del diabete e tanto più' quanto il diabete è scompensato. In considerazione del ruolo patogenetico giocato dai fattori di rischio nel manifestarsi della malattia cardiovascolare e nella sua rapida evoluzione, è immaginabile che tali fattori possano influenzare significativamente anche la tenuta nel tempo delle procedure di rivascolarizzazione. In letteratura vengono riportati molteplici criteri per definire il successo di un intervento di rivascolarizzazione:

Criteri puramente emodinamici includono il "successo tecnico" definito dalla avvenuta rivascolarizzazione diretta di almeno uno dei vasi di gamba fino al piede o la "patency" primaria e seconda­ria che indica la persistente pervieta' del vaso o del by-pass in prima o seconda istanza.

Criteri perfusionali includono l'ossimetria transcutanea come delta pre e post rivascolarizzazione e come valore assoluto nel follow-up ad un mese ed oltre. In considerazione della relazione esistente tra potenziale riparativo e valori ossimetrici, la valutazione periodica di questo parametro è di sicuro ausilio soprattutto nei casi in cui le lesioni cutanee, nonostante l'intervento di rivascolarizzazione, hanno scarsa tendenza alla guarigione. Infatti come già' riportato , valori ossimetrici < 30 mmHg sono indicativi di una bassa perfu­sione periferica. In questi casi può essere utile ripetere l'esame dopo qualche giorno, prima di considerare la rivascolarizzazione effettuata come inefficace, perché è stato visto che la TcPO2 tende progressivamente a salire nell'arco di un mese dalla rivascolariz­zazione in caso di intervento efficace, mentre si mantiene bassa in caso di rivascolarizzazione inefficace (145).

Criteri di esiti clinici che includono sempre il "salvataggio      d'arto" cioè pazienti che hanno evitato l'amputazione maggiore a carico della gamba o della coscia, con la "guarigione della lesione" e quindi chiusura completa delle lesioni cutanee, anche se avvenuta dopo "amputazione minore " a carico delle dita e dell'avampiede.

Gli esiti clinici permettono meglio degli altri di confrontare le casistiche in quanto parametri confrontabili.

Dal punto di vista pratico ed alla luce del ruolo che riveste la rivascolariz-zazione nel salvataggio d'arto del paziente diabetico affetto da arteriopatia ostruttiva cronica è estremamente importante seguire l'arteriopatia ostrut­tiva dopo il trattamento.

Il follow up deve essere clinico, ossimetrico e/o ultrasonografico e deve svol­gersi almeno rispettando il seguente schema di controllo: dopo 1, 6,12 mesi dal trattamento e successivamente ogni 12 mesi. La comparsa di una reci­diva (restenosi) in sede di trattamento non impone sempre il retrattamento; tale scelta terapeutica va considerata nel paziente con recidiva della sinto­matologia clinica o nei pazienti in cui vi è una sospensione del processo di guarigione delle lesioni trofiche.

  • Criteri tecnici: riapertura di almeno uno dei vasi di
    gamba fino al piede. 
  • Criteri perfusionali: delta tcPO2 pre e post rivascolarizzazione. 
  • Esiti clinici: guarigione della lesione con o senza ampu­tazione minore, amputazioni maggiori e decessi. 
  • Il follow up deve essere clinico, ossimetrico e/o ultrasonografico e deve svolgersi con rigidi schemi temporali 

 

Argomenti Correlati 

Documento consenso : TRATTAMENTO ARTERIOPATIA PERIFERICA NEL DIABETICO- Dicembre 2012 - (Clicca qui) 

(Clicca qui - Bibliografia)

 

Linee guida 1 (cliccare qui)          Lower limb peripheral arterial disease: diagnosis and management
                                                                                         NHS

                                                    

Linee guida 2 (cliccare qui)                      Schermata_04-2456045_alle_20.22.35
 
 
 
Linee guida 3 (cliccare qui)                         Schermata_04-2456045_alle_20.19.19

 

                                                                  UK
 
                   

 

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